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domenica 19 gennaio 2014

AUSTRALIAN OPEN TWEET OF THE WEEK


MAREMMA CINGHIALA


Il maniavantismo estremo di un tifoso che si trasforma nell'autogufata della settimana, congratulazioni al nostro "Sharapovologo"

Damiano Bertocchini. 

#KARMAISABITCH

Congrats to @Cibulkova for reaching the quarterfinals this year in australia...very special player #ausopen
— Damiano Bertocchini (@Dbertocchini) 18 Gennaio 2014

WECANNOTBESERIOUS



domenica 12 gennaio 2014

STORIE E DELIRI DI UN MASHA LOVER #0 PILOT















Ebbene si, siamo arrivati a poche ore dall'inizio del primo slam stagionale e mi accingerò a fare un piccolo preview sul tabellone femminile sorteggiato a Melbourne.

Primo quarto

Il quarto dove è presente Sereno Williams (la "o" al posto della "a" è puramente voluta).  Questo dovrebbe bastare. Sfortunate le nostre due portacolori più blasonate (che culo) Errani e Vinci a finire nella parte di tabellone dove non c'è possibilità di sopravvivere allo scontro con l'americana/o, le due italiane però potrebbero trovarsi contro negli ottavi di finale per decidere chi andrà al macello.
Abbiamo poi la bella Ana (però mangia figliola che sei un chiodo) reduce dalla vittoria ad Auckland e la Stosur che eventualmente incrocerebbero il Sereno agli ottavi, auguri.
Delle altre, che ne parlo a fare, la tastiera costa.

Eventuale quarto di finale: S. Williams - Del Potro.

Secondo quarto

Il quarto presieduto dalla cinesaccia Li o Na? e da "Kinder Merendero" Kvitova (che non perdonerò mai per aver levato alla Dea Divina Masha il secondo titolo di Wimbledon) ultimamente innamorata pazza di quel gran figone di Stepanek ( probabilmente c'ha la miccia lunga sennò non si spiega il suo curriculum di czech lover).
In questa porzione di tabellone presente pure la nostra "hot" Flavia e la "nonna" con le gambe più belle del mondo (Venus Williams).

Eventuale quarto di finale: Li - Kvitova (wow,tremo dalla voglia.......).

Terzo quarto

Ohhhhhhhhhhhhh, qui abbiamo la nostra DEA, DIVINA, una delle giocatrici più forti di tutti i tempi, MARIA SHARAPOVA (applausi, grazie.)
Come al solito cammino impervio per l'imperatrice russa che inizia il suo torneo con la temibile Mattek-Sands poi eventualmente la crucca Knapp (no, non è italiana) poi terzo turno con la Giorgi (applausi, grazie) poi agli ottavi o con il maschio Navarro o con "donna nana tutta tana" Cibulkova.
Presente in questa parte di tabellone pure Jelena Jankovic che nel caso, asfalterà Masha nei quarti di finale, semmai quest'ultima riuscirà nell'impresa veramente ardua di arrivare alle fasi conclusive di questo torneo.

Quarto di finale sicuro: Bethanie Mattek-Sands - Jankovic.

Ultimo quarto

Qui abbiamo una delle favorite del torneo dopo Serena e la Mattek-Sands, la twerkatrice Viktoria Azarenka che non dovrebbe avere problemi fino al possibile quarto di finale con l'altra notevole protagonista di questo torneo Agnieszka Radwańska, ma ambedue sicure di uscire se dovessero trovare in semi la Mattek-Sands, un vero cagnaccio.
Qui presente pure l'amica del cuore di Serena, Sloane Stephens.
Concludo augurandovi un buon Australian Open, mettete la sveglia e non pensate alla giornata lavorativa o di studio che vi attenderà inesorabile ma a godervi quei meravigliosi scambi che vedranno protagonisti il talentuoso Ferrer e l'eclettico Simon.

Ah avrete notato la mia imparzialità e vi ringrazio già in anticipo, alla prossima.#sharafamily #mashaaddicted

Lecchino Mode ON
Ps. Ringrazio Andrea e Andrea (è proprio vero che Roger li fa e poi li accoppia) per avermi dato la possibilità di collaborare con loro, love you guys.
Lecchino Mode OFF

Damiano Bertocchini

mercoledì 7 agosto 2013

QUALE FUTURO PER IL RE?


E’ questo l’interrogativo che scuote migliaia di appassionati di tennis da qualche tempo a questa parte.

C’è chi se lo domandò già nel 2011, il primo anno dal 2002, che Federer concluse senza alcun titolo dello slam. C’è chi iniziò a chiederselo dopo il torneo di Wimbledon dello scorso anno, dove dopo aver eguagliato Sampras con sette centri sull’erba dell’All England Club qualcuno dubitava che Roger potesse avere di nuovo stimoli per lottare per altri importanti traguardi.

Poi c’è chi invece questa domanda ha iniziato a porsela solo qualche settimana fa. Si perché, se la sconfitta al secondo turno a Wimbledon contro Sergiy Stakhovsky faceva ancora male, sono state le successive scelte di Federer a lasciare tutti un pò perplessi. In primis il cambio di racchetta, non succedeva dal 2002, passando da un piatto corde più grande a 98 pollici, rispetto ai 90 della precedente e poi ancor più sorprendente è stata la scelta di giocare i tornei di Amburgo prima e Gstaad poi.

Il braccio rimane lo stesso
Sono tornei su terra rossa, a breve inizia la stagione sul cemento americano, che se escludiamo il torneo di Wimbledon è quella che ha regalato maggiori gioie al tennista svizzero, che ci va a fare si chiedevano in molti. Le supposizioni si sprecavano; chi sosteneva che avesse bisogno di tornei minori per recuperare la forma perduta e/o testare la nuova racchetta, chi pensava volesse racimolare più punti possibile in ottica Master di finale, chi invece lo considerava semplicemente un pazzo.

Federer era sempre stato il numero 1 assoluto nella programmazione della stagione, perchè stravolgere così tutto per una delusione, seppur cocente, come era stata quella a Wimbledon?? E poi in che condizioni fisiche si presentava??

Come è andata lo sappiamo tutti: sconfitta in semifinale da Delbonis, sconfitta addirittura al secondo turno da Daniel Brands. In seguito a questa partita Federer ha poi spiegato che cosa effettivamente non andava.

La schiena, che lo tormenta da tutta la stagione, quella che non gli ha permesso sostanzialmente di giocare la semifinale ad Indian Wells contro Nadal a marzo, è tornata di nuovo a farsi viva e ha costretto poi lo svizzero a saltare il Master di Montreal che parte oggi. (Per la diretta e i commenti potete seguirci sul nostro profilo WeCannotBeSerious )

Questo forfait ha alimentato di nuovo discussioni con quelli che dicevano se stava male cosa ci è andato a fare? Per peggiorare le cose?! Col senno di poi siamo bravi tutti, dubito che ci possa essere qualcuno su questo pianeta che possa dire a Roger Federer qualcosa sul suo modo di programmarsi.

I commenti peggiori, a mio avviso però, sono stati quelli che han trasformato Federer in una sorta di malato terminale. “Roger non mollare”, “Roger ti siamo vicini”, piuttosto che “Roger senza di te come faremo” erano tra i più gettonati.

Come avevo già avuto modo di dire, lo svizzero sta benone, semplicemente il tifo esasperato che si trasforma in fanatismo non è mai un bene, anzi. Federer sta semplicemente attraversando l’ultimo step della carriera di un professionista, ovverosia quello del declino.

Da aspirante economista mi trovo costretto a dover leggere i numeri e ad analizzarli. Dalla vittoria dell’Australian Open 2010 nei successivi 14 tornei dello Slam Federer ha giocato solamente 2 finali, una a Parigi, perdendola; una a Wimbledon, vincendola.

Con questo cosa voglio dire, che le avvisaglie di un normale, fisiologico e di conseguenza anagrafico calo di Roger Federer c’erano già da qualche anno, solo il suo smisurato talento e un fisico baciato da madre natura, perfetto per giocare a tennis e che non gli ha mai dato grossi problemi, gli aveva permesso di essereancora competitivo con gente che di cinque, sei, sette anni più giovane di lui.

Sarà l'ultimo??

Come diceva qualche anno fa un grande l’italiano non ha memoria storica quindi in molti che già fanno il funerale a Roger Federer, chi da qualche anno, chi invece da qualche mese, in maniera spesso e volentieri irriguardosa e irrispettosa per quello che ha dato a questo sport e allo sport in generale, si dimenticano che il suo illustre predecessore, quel Pete Sampras al quale ha strappato quasi ogni tipo di record possibile, dopo i trent’anni bazzicò per il circuito quasi due anni senza raggiungere un risultato degno del suo nome e della sua fama, prima di regalare l’ultimo meraviglioso acuto in quel di New York contro Agassi in finale nel 2002, da numero diciassette del mondo.

Non vorrei illudere qualcuno dicendo che Federer farà la stessa cosa, dico solo che sarebbe giunto il momento per tifosi e non, di godersi da semplici appassionati quanto più tennis ci regalerà Federer in futuro; che sia per uno, due o tre anni non ha importanza, così come non ha importanza la classifica, che oggi lo relega al settimo posto nella Race (la classifica che vale l’accesso al Masters di fine anno) l’unica cosa che conta è la consapevolezza di esser stati testimoni di qualcosa di grandioso, di un qualcosa che come è stato per Mohammed Alì, Michael Jordan, Ayrton Senna, Diego Maradona, Michael Phelps potremo vantarci di aver visto e di essercelo goduto.

Andrea Lanzarini














E ADESSO CHIAMATELO "SIR"


Mi chiamo Conner MacLeod vengo dalle Highlands e sono immortale…

….Non sono il solo e alla fine ne resterà soltanto uno.

E’ la famosa citazione tratta dal film cult di Russell Mulcahy del 1985, Highlander.

Andy Murray non viene dalle Highlands però, viene da Dunblane e dubito sia un immortale, ma quando domenica, col trofeo in mano, si è trovato a rispondere alle domande della giornalista della BBC ha ricordato a tutti chi è stato.
E’ un ragazzo scampato a un destino già scritto. Si perché c’era anche lui quel 13 marzo 1996 quando un folle sparando all’impazzata uccise 16 bambini nella scuola del suo paese. Lui e il fratello Jamie si salvarono rifugiandosi nell’ufficio del preside e come ha ribadito domenica adesso Dunblane sarà famosa per un altro motivo.

Ora a Dunblane si può sorridere
Ora a Dunblane forse si può sorridere.

Che finale è stata; beh sicuramente meno emozionante rispetto a quella che Murray e Djokovic avevano giocato a New York lo scorso settembre. Nonostante fosse lo scozzese quello all’appuntamento con la storia, il più teso è sembrato il serbo che nel set iniziale ha sbagliato tantissimo.
Nel secondo invece ha cambiato tattica, cercando di trovare la via della rete più spesso e nonostante un break di vantaggio ha finito per farsi rimontare e perdere e perdere anche il secondo parziale.

Nel terzo la partita sembrava ormai finita una volta che Murray è andato avanti di un break, ma se gli inglesi hanno atteso 77 anni (!!!) prima di rivedere un “loro” connazionale trionfare sul centrale di Wimbledon, potevano anche aspettare qualche minuto in più. E così il terzo set è andato a strappi, 2-0 Murray, 4-2 Djokovic, 6-4 Murray.
L’ultimo game, quello che ha fatto e farà la storia sembrava non voler finire mai. Murray è salito agevolmente 40-0, si aspettava solo il boato del centrale e invece no, Nole ha risposto da campione, quello che non vuole abdicare così facilmente ed è arrivato ad avere anche 2 palle break che forse non avrebbero cambiato il destino del match, ma che avrebbero fatto tremare un po di più Murray e tutta la nazione. Al quinto match point per lo scozzese invece, il passante di Djokovic si è fermato in rete ed è stata storia.

77 di attesa per un nuovo "king"
Game, set, match & history.

Non si inginocchia come fecero Borg o Federer, nemmeno scoppia in lacrime come Agassi o Ivanisevic, si limita ad esultare girandosi verso il suo angolo col suo solito sguardo freddo e rabbioso. E’ un ringraziamento per tutti. Una dedica speciale per mamma Judy e per il coach, quell’Ivan Lendl che qui a Wimbledon aveva perduto due finali nel 1986 e 1987 condite da altre cinque semifinali.

Onore a Djokovic per il torneo e per la fantastica semifinale con Del Potro e se forse, in finale, non è stato un Djokovic da 10 in campo, lo è stato senza dubbio a parole post match. Riconoscendo con grande classe la vittoria di Murray e sottolineando come la pressione di avere un’intera nazione sulle spalle renda questo trionfo ancora più speciale.

L’abbraccio tra i due a fine match e quello che i genitori di Nole hanno riservato a Murray arrampicatosi in tribuna a ringraziare il suo team sono un fotografia perfetta per il tennis, segno del grande rispetto che c’è tra entrambi i giocatori e i rispettivi team marcando in maniera netta quella che sarà la rivalità in campo maschile per il futuro.

Ci rivediamo in America?

Già perché da questo Wimbledon chi ne esce con le ossa rotte sono ovviamente Nadal e Federer.
Lo spagnolo ha mostrato ancora una volta tutti i dubbi ad essere competitivo al di fuori della terra battuta, mentre Roger è ormai entrato in pianta stabile nella Sunset Boulevard. Le similitudini con Sampras si vedono anche sotto questo aspetto, vedremo se come Pete avrà la forza per un ultimo acuto da Leggenda.

Rino Tommasi diceva: quando Murray perde è Scozzese, quando invece vince è Inglese; riuscirà Andy dopo questa impresa a diventare un inglese al 100% o come Sean Connery, che pur facendo le sue fortune sotto l’impero della Regina ha mantenuto un forte orgoglio patriottico, manterrà intatto il suo animo scozzese?
In fondo, chi addestrò MacLeod in quel famoso film svelandogli di essere un Highlander...

Scottish Pride
Scottish pride.

Andrea Lanzarini



















lunedì 1 luglio 2013

WIMBLEDON STORY


Ho sempre considerato Wimbledon lo Slam con la S maiuscola, non so bene da dove nasca questa sorta di devozione verso il torneo. Forse è perché da bambino stavo sul divano accanto a mio padre a seguire i match del suo idolo Boris Becker prima e Pete Sampras poi, oppure perché ero sempre stato abituato a vedere i campi con la terra o il cemento e vedere dei campi in erba mi colpì in maniera particolare, o forse perché mi faceva strano vedere tutti i giocatori vestiti completamente di bianco. Magari è un mix di tutti questi fattori, o più semplicemente non c’è una risposta, sta di fatto che ogni anno dal terzo lunedì di giugno per me inizia la magia.

Così per prepararci al meglio al torneo ormai alle porte, ho scelto sette momenti che hanno fatto la storia di Wimbledon. Perché 7, beh perché è il numero che più di ogni altro rappresenta questo torneo, chiedere a Sampras e Federer per conferma.

1980: “The Tie-Break”

Troppo facile partire da qui, però allo stesso tempo troppo difficile non farlo.

Credo di conoscere a memoria ogni singolo punto di quel magnifico tie-break vinto da McEnroe per 18 punti a 16, dopo aver annullato 5 match point.

Borg in ginocchio sull’erba è l’immagine che racchiude una partita che ha fatto storia, una partita che McEnroe dopo quel tie-break era sicuro di portare a casa, conscio di aver minato in maniera definitiva le sicurezze dell’orso svedese. Si sbagliava, dovette cedere 86 al quinto set e aspettare 12 mesi prima di diventare campione di Wimbledon.

Un finale che è stata il simbolo della rivalità prima ancora che tra due giocatori, tra due diverse concezioni di sport, due diversi modi di intendere il tennis. Da una parte Borg il freddo, l’androide che non lasciava intravedere alcun tipo di emozione, dall’altra McEnroe il pazzo, talento allo stato puro, genio e sregolatezza. Durata troppo poco però, Borg l’anno dopo lascerà il tennis.


1985: “Bum-Bum” il più giovane di sempre

Pensate per un’attimo dove eravate l’estate dei 17 anni, i ricordi dovrebbero essere più o meno simili per tutti; ecco ora pensate di essere sul centrale di Wimbledon col cuore che vi batte a mille, il braccio che vi trema, il pubblico in religioso silenzio che fa da cornice e avere sulla racchetta la palla per diventare campione di Wimbledon. Questo è ciò che è successo a Boris Becker nella finale di quell’anno quando con un servizio vincente sconfisse il sud africano Kevin Curren diventando il più giovane vincitore dello slam Londinese.
Curren giocò un torneo pazzesco, dominò McEnroe nei quarti e Connors in semifinale, ma non poté nulla contro la potenza del giovane teutonico che diede il via al suo predominio sull’erba londinese che lo avrebbe portato a giocare altre 5 finali e a conquistare altri 2 titoli.


1992: La prima volta del Andre
E’ una finale inattesa quella del '92 tra Agassi e Ivanisevic.

L’americano sconfigge nei quarti Boris Becker e lascia soli 9 games a McEnroe in semifinale, mentre Goran compie una doppia impresa eliminando a suon di aces prima Edberg, poi Sampras.
Il match è andato a strappi, dopo il tie-break vinto da Ivanisevic e due break che han consentito al Kid di Las Vegas di vincere secondo e terzo set, il quarto è stato un assolo croato rimandando ogni verdetto al quinto e decisivo set. Solo le parole dello stesso Agassi però possono raccontare al meglio il momento decisivo dell’incontro, quando avanti 54 si trova ad avere un match point sul servizio di Goran.

“Sbaglia un’altra prima di servizio, mette dentro la seconda. Riesco a picchiare la risposta, lo costringo ad una mezza volata, la palla é corta nel campo, lo passo e comincio la lunga camminata verso la mia linea di fondo. Dico a me stesso: puoi vincere con un solo swing. Uno swing. Non sei mai stato cosí vicino.
E potresti non esserlo mai piú.

Ed é quello il problema, cosa succede se dopo essere arrivato cosí vicino non vinco? La sensazione di ridicolo, le critiche. Smetto di pensare a questo, e torno a focalizzarmi su Ivanisevic. Devo cercare di indovinare da che parte servirá. OK, il tipico mancino, al servizio dalla parte sinistra su un punto importante, servirá uno slice esterno, per costringere l’avversario fuori dal campo. Ma Ivanisevic non é tipico.

Il suo servizio su un punto importante é solitamente una bomba piatta sulla riga centrale. Certamente, eccola che arriva, ma si ferma in rete. Meno male, perché quella cosa era un bolide lungo la riga. Anche se avevo indovinato la traiettoria, non sarei mai riuscito a metterci la racchetta. La folla mormora. Io cerco di prendere tempo, di parlare tra me e me, dicendo ad alta voce: vinci questo punto, o ti perseguiteró per sempre, Andre. Non sperare che faccia doppio fallo. Controlla quello che puoi controllare. Rispondi alla sua battuta con tutte le tue forze, e se colpisci forte ma sbagli, sarai in pace con te stesso. Puoi vivere con questo pensiero. Una risposta, senza rimorsi. Colpisci piú forte.
Lui lancia la palla, mi serve sul rovescio. Faccio un salto, colpisco con tutte le mie forze, ma sono cosí contratto che la palla diretta sul suo rovescio é tutt’altro che veloce. Per qualche motivo, sbaglia una facile volee. La sua palla si ferma in rete, e come per incanto, dopo 22 anni e 22 milioni di colpi tirati, sono un vincitore di un torneo dello Slam.”


1993: Finalmente Pete
4 luglio 1993, in America è il giorno dell’indipendenza, in Inghilterra è il giorno della finale di Wimbledon. In finale, per un curioso gioco del destino ci vanno due americani.

Uno è Jim Courier non propriamente un giocatore da erba, che però ha eliminato nei due turni precedenti due giocatori loro si da erba. E se il nome di Todd Martin dice poco, lo scalpo del 2 volte vincitore Stefan Edberg in semifinale è ben più prestigioso. Dall’altra parte della rete c’è Pete Sampras che ha sconfitto il campione in carica Agassi e in semifinale Boris Becker.

Pete non aveva ottenuto grandi soddisfazioni prima di quell’edizione a Wimbledon, era contrariato all’idea che 2 o 3 rimbalzi sbagliati potessero costare un intero match. Così facendo però alimentava i sospetti di quelli che dicevano Con quel servizio così potente non può vincere sull’erba, non ha il tempo necessario per andare a rete. Già, come non essere d’accordo vero?!


Fu il suo coach Tom Gullikson a convincerlo che quel gioco era perfetto per questa superficie, dove solo convincersi lui stesso. La finale non fu un match memorabile, Sampras probabilmente sentiva l’appuntamento con la storia, l’erba battuta causata dall’assenza di pioggia per tutte e due le settimane (evento che a Wimbledon non capitava dal 1976) non rendeva così efficace il suo gioco, ma alla fine riuscì a imporsi 76 76 36 63 dando vita al suo dominio londinese


2001: “Il miracolo di Goran”

Do you Believe in Miracles??? No non è un miracolo è qualcosa di più.

Prendo in prestito questa famosa citazione del Duo più famoso del basket italiano per descrivere la vittoria del 2001 di Goran Ivanisevic.
Il croato tre volte finalista del torneo si presenta a Londra da numero 125 del mondo, è entrato in tabellonegrazie a una Wild Card, al Queen’s ha perso dall’azzurro Caratti e la spalla sinistra non è in perfette condizioni.
Dopo un cammino piuttosto positivo il vero ostacolo è la semifinale contro l’idolo di casa Tim Henman, è una partita incredibile che dura tre giorni causa pioggia. Il sabato, all’inizio del quinto set Goran è sfinito, sa di non avere chances, ma gli dei del tennis sono in debito con il croato, arriva la pioggia e si riprende il giorno dopo. Come disse lui stesso qualche anno più tardi “sapevo che ce l’avrei fatta, era un segnale” vincerà il quinto set per 63 andando in finale contro Rafter il lunedì.
La finale fu fantastica. Due giocatori di serve&volley in finale a Wimbledon. Il meglio.

Sull’ 8-7 al quinto Goran spreca tre match point, con due doppi falli e un lob di Rafter, tra un punto e l’altro prega, bacia la racchetta, la pallina, la riga bianca non toccata da un passante di Rafter, il centrale è perde il suo aplomb British, sembra di essere in curva calcistica durante un derby.
Il quarto match point è quello buono, la rispsota di Rafter finisce in rete e Goran il lacrime, si sdraia sull’erba. E’ un campione di Wimbledon. Finalmente ce l’ha fatta. L’abbraccio tra i due è commovente, Rafter non avrà più occasione di tornare in finale in uno slam, ma la delusione della sconfitta viene in parte placata dall’aver perso con Goran.

La dedica è per l’amico Drazen Petrovic scomparso qualche anno prima in un incidente stradale.

Una volta tornato nella sua Spalato viene proclamato eroe nazionale, perchè come diceva lui “la gente si ricorda solo di chi vince, non di chi arriva in finale” e adesso la gente si ricorderà anche di lui. Apoteosi.


2008: “Best Final Ever?”
La terza finale consecutiva a Wimbledon tra Roger Federer e Rafa Nadal è una di quelle partite che gli americani definiscono for the ages, per i posteri.
La qualità del match è altissima, Nadal vince i primi due set e sembra avviato a vincere comodamente, ma il Re non non ne vuol sentire di abdicare, la pioggia viene in suo soccorso e dopo la pausa vince il terzo set al tie-break. Nel quarto Roger deve addirittura annullare un match point, lo fa in maniera clamorosa con un rovescio lungo linea da applausi. Si va al quinto e qui si fa la storia, è ormai sera quando Nadal strappa la battuta allo svizzero sull’8-7 e chiude il game successivo con un diritto d’attacco di Federer che si ferma in rete.

Il Re cede il suo trono, ma Wimbledon ha trovato un nuovo campione.


2009: Game, Set, Match, History

Qualche anno prima Sampras disse vorrò essere presente il giorno che Federer supererà il mio record di Slam. Ci siamo. Federer ha appena vinto il suo primo Roland Garros, eguagliando appunto Sampras nel numero di Majors e in finale a Wimbledon c’è Roddick, non potrebbe esserci avversario migliore stando ai confronti diretti tra i due.

Ma l’americano sotto gli occhi del suo illustre connazionale non ne vuol sentire di passare per la vittima sacrificale, vince il primo set, ha addirittura quattro set point nel tie-break del secondo (uno sprecato malamente con una sciagurata volè di rovescio), ma alla fine deve cedere, così come il terzo set, sempre al tie-break. Si pensa a quarto set già scritto e invece no, Roddick strappa nuovamente la battuta a Federere porta a casa il set rimandando tutto al quinto e decisivo.
Federer dopo qualche patema con game arrivati ai vantaggi inizia a tenere la battuta con più tranquillità, serve aces a grappoli, saranno oltre 40 a fine match, Roddick invece non hai mai perduto la battuta, ma accusa sempre di più la pressione di dover servire per rimanere nel match, fino al 14-15 dove con due stecche consecutive consegna il sesto titolo a Federer e il primato di titoli dello Slam.
Probabilmente Roddick per come ha giocato non meritava di perdere, il suo miglior match sull’erba e forse anche della carriera; in quel modo poi fa ancora più male, ma quando sei testimone della storia che viene scritta puoi solo limitarti ad essere una comparsa.


Andrea Lanzarini



















martedì 28 maggio 2013

SE MIA NONNA AVESSE LE PALLE SAREBBE MIO NONNO...


Quante volte avrete sentito questa risposta?? 
Se vi è mai capitato di ascoltare una conferenza stampa, solitamente dopo una sconfitta, di Marat Safin di sicuro almeno una.

Si perché la domanda era sempre la stessa, quella che ci siamo fatti miliardi di volte anche noi tifosi, fan, spettatori e amanti del gigante e talentuoso russo, che giocatore saresti stato con un'altra testa e siccome Safin era uno diverso, mai banale, poco diplomatico e molto schietto rispondeva sempre alla sua maniera, così.

Marat nasce a Mosca e si allena fino ai 14 anni anni allo Spartak Mosca Tennis Club gestito da papà Misha e sotto l'occhio vigile da sergente di ferro di mamma Islanova.
Ma le strutture non sono sufficienti bisogna andare via e lasciare il paese se si vuole avere una possibilità di emergere, si ma dove. Un appassionato di tennis svizzero intravede del talento nel giovane Safin e finanzia il suo viaggio in Spagna; Barcellona prima e Valencia poi diventano la sua nuova casa. Si sa poco di questo individuo,
soltanto che ama il tennis e che ha tanti soldi. Ma col senno di poi non si può non dirgli grazie.

E' il maggio del 1998, siamo a Parigi, è un Marat appena diciottenne che viene dalle qualificazioni e ha eliminato al primo turno Andre Agassi (che vincerà il torneo l'anno dopo) al secondo turno il suo avversario è il brasiliano Guga Kuerten, campione in carica del torneo e vincitore altre 2 volte a Parigi nel 2000 e nel 2001.
La partita è in bilico, il pubblico inizia a sentire aria di sorpresa e sul 4 pari al quinto Marat ha una palla break. Kuerten serve a uscire e... Risposta vincente lungolinea di rovescio, il suo colpo, 5-4. Il game dopo con 3 servizi vincenti Safin vincerà il set per 6-4 e l'incontro. Il campione è fuori dal torneo, Safin proseguirà fino agli ottavi di finali perdendo al quinto set contro il francese Pioline, ma il mondo del tennis ormai si è accorto di lui. E' nata una stella si dice.
L'anno successivo vince il suo primo torneo a Boston e perde la finale del torneo indoor di Parigi Bercy, l'ultimo della stagione, in finale con Agassi.

Il 2000 è l'anno con la a maiuscola. Quello della definitiva esplosione.
L'inizio non è dei migliori, cinque sconfitte consecutive al primo turno, poi la situazione migliora con l'inizio della stagione sulla terra battuta con le vittorie a Barcellona e Mallorca, perde una combattutissima finale al tie-break del quinto set ad Amburgo contro Kuerten e ai quarti a Parigi contro Norman.

Dopo il suo primo titolo Master Series a Toronto e un altra finale persa con Guga a Indianapolis arriva a New York per l'ultimo Slam stagionale. Primi 3 turni sofferti con due vittorie in 5 set contro l'azzurro Pozzi e il francese Grosjean, poi regola in serie Ferrero, Kiefer e Todd Martin, giunge così in finale e chi è suo avversario, Pete Sampras.

Ora numero 4 al mondo, ma campione in carica di Wimbledon, 13 Slam in bacheca, numero 1 al mondo per 7 anni e tante altre cose. 
Marat è alla prima finale Slam della carriera, l'Arthur Ashe è tutto per l'idolo di casa che però non vince qui dal 1996, è ora di riprendersi il trofeo. Non c'è storia, si dice. 
Già si dice, perché i folli sono fatti alla loro maniera, la gente normale non può lontanamente immaginare cosa passa loro per la testa in certi momenti e che cosa può nascere dall'unione tra follia e talento; un match  perfetto e impronosticabile alla vigilia.
Il campione è annichilito, Safin domina il match a suon di passati,
risposte vincenti e colpi potentissimi che non lasciano scampo a Sampras. 6-4 6-3 6-3 il punteggio finale. Il pubblico è incredulo ma sa di aver visto nascere una stella, Rino Tommasi esclama lo rivedremo sicuramente altre volte questo Marat Safin; Sampras in conferenza stampa si limita a poche parole ma molto significative: Nessuno mi aveva mai trattato in questo modo
Diventerà per la prima volta numero 1 al mondo dopo la vittoria su Philippoussis a Parigi Bercy, il settimo titolo stagionale, per poi perdere la posizione al Master di fine anno.

L'anno successivo non si confermerà come tutti si sarebbero aspettati; perché, perché lui è Marat Safin, non uno come gli altri. Non è l'emblema del professionista modello, in campo e fuori. I suoi monologhi e le sue migliaia di racchetta scaraventate per terra sono la normalità, ma non ama nemmeno allenarsi, con quel talento perchè mai allenarsi, chissà quante volte l'avrà pensato, meglio dedicarsi ad altro. 
La vita notturna per esempio, le donne lo amano e la cosa è ovviamente ricambiata, una delle sue migliori uscite al riguardo non ha bisogno di altri commenti. Non ho mai pagato una donna per venire a letto con me, semmai le pago per farle andare via dopo.
Tornerà numero 1 al mondo restandoci per un totale complessivo di sole sei settimane e avrà come migliori acuti i quarti a Wimbledon, la semifinale agli Us Open dove Sampras si prese la rivincita della finale dell'anno precedente ma non si qualificherà nemmeno per il Master di fine anno.

Il 2002 comincia come meglio non si potrebbe, finale all'Australian Open, l'avversario è lo svedese Thomas Johansson, un buonissimo giocatore fisicamente e tecnicamente, ma non tale da impensierire Safin, sulla carta. La finale cade il giorno del compleanno di Marat, male. Si perché quale occasione migliore per fare festa. 

Un qualsiasi normale giocatore aspetterebbe di vincere il trofeo, non lui. Si fa festa il giorno prima. Domina il primo set poi si spegne la luce, vince lo svedese in quattro set. Non ha la testa, troppo sciagurato, troppo discontinuo, ci son giocatori che avrebbero venduto l'anima per una finale slam e lui gioca così. 

E' Marat Safin, prendere o lasciare.

Il pubblico di Melbourne però lo ama e nel discorso finale prende in mano la scena, come se avesse vinto lui. Dopo i soliti ringraziamenti di rito si passa alle scuse, mi spiace aver per perso per i miei tifosi e sopratutto per la mia famiglia qui presente. Viene inquadrato il suo angolo con mamma e pà... Ehm no, la sua famiglia sono tre bionde, ribattezzate in seguito Safinettes, con due metri di gambe ciascuna, poco vestite e di notevole impatto visivo. Applausi di tutti i presenti, delle signorine, di Marat ovviamente e di Johansson. Parte anche il coro happy birthday, uno show, con un solo protagonista, lui.

Per continuità di risultati è senza dubbio l'anno migliore per Safin pur vincendo un solo titolo, Parigi Bercy contro l'australiano Hewitt, numero 1 al mondo ma preso a pallate dal russo, quasi a voler dimostrare che lui è numero 1 solamente perchè Marat preferisce esserlo in altri ambiti.
Vincerà la Coppa Davis a fine anno, in casa a Mosca, diventando una volta di più un eroe nazionale.

Nel 2003 si ritira in finale contro Moya per un problema al ginocchio, rientra la settimana dopo ma perde subito al primo turno, salta gli ultimi 3 slam stagionali, torna in campo a fine anno ma la condizione è pessima. Risultato cinque sconfitte al primo turno.

E' la fine. Non tornerà più, come può tornare uno che non aveva voglia di allenarsi prima, figuriamoci ora che deve recuperare da un infortunio.

E invece no, a gennaio si presenta in Australia da numero 86 del mondo. Arriva fino alla finale dopo aver battuto nei quarti Roddick in cinque set e in semifinale Agassi sempre in cinque set.
Non ne ha più, in finale c'è Roger Federer che diventerà numero 1 dopo quella vittoria, è un monologo in 3 set, ma Marat è tornato.

Non mancheranno gli acuti come a Madrid e a Parigi Bercy, la sua seconda casa, andrà al Master perdendo da Federer in semifinale al termine di un epico tie-break perso 20-18 nel secondo set.
Memorabile però fu la conferenza stampa a Wimbledon, dopo la sconfitta al primo turno con Tursunov. Che odiasse l'erba lo si sapeva, che odiasse il torneo anche. Un'ambiente non da lui. tutti vestiti di bianco, la tradizione, il clima. Roba non da Safin.
Lui detestava giocarci, tant'è che addirittura minacciò di non tornarci più.

L'erba è fatta per farci pascolare le vacche, non per giocare a tennis diceva, oppure l'unica cosa buona di Wimbledon sono le fragole, peccato che siano così care.

Un anno dopo l'impresa australiana Marat si ripresenta a Melbourne Park da numero 4 del mondo, nel suo box c'è quel Peter Lundgren che è stato coach di Federer fino alla fine del 2003, le attese sono diverse, non è più un outsider, gli si chiede di lottare nuovamente per il titolo.
Se è arrivato in finale dopo tutto quel tempo fuori, cosa può fare ora, ci si domanda; peccato che adesso sul trono del tennis maschile sieda quel Roger Federer ormai completamente evolutosi da ragazzo di buone prospettive a campione assoluto e futuro dominare. E' il detentore del titolo, viene da un 2004 fantastico con 3 slam su 4 e il master di fine anno in tasca, ed è il grande favorito per bissare il titolo australiano.

Il tabellone però regala l'accoppiamento che tutti aspettano in semifinale, questa volta. Ancora una volta Roger contro Marat. Il match è fantastico, entusiasmante, con lo svizzero che vince il primo set e il russo che replica vincendo il secondo. Federer prova a scappare nel terzo ma viene subito ripreso da Safin che poi però cede 7-5. 4° set, tie-break,
5-2, Federer che serve. E' finita.
Non per Safin però, che ha ancora un coniglio da estrarre dal cilindro. Recupera i due punti sul servizio di Federer, recupera fino al 5 pari e sul 6-5 per lo svizzero annulla anche un match point in maniera fantastica, dopo due clamorose opposizioni di Federer a rete Safin gioca un pallonetto millimetrico, Federer può solo giocare il colpo tra le gambe che si ferma in rete.
Una steccata di rovescio e un errore di dritto dello svizzero regalano il set a Safin. Si va al quinto.

Sul 5-3 è Safin ad avere due match point, che escono entrambi di una manciata di millimetri su due colpi che sarebbero stati entrambi vincenti. Uno di dritto e uno di rovescio.
Sul 6 pari è lui a dover annullare una palla break a Federer e il game successivo vede di nuovo volare via due match point, ma sull'8-7 Safin, 15-40 Federer scivola nel tentativo di recupero di un rovescio lungo linea lasciando completamente il campo aperto e spianando la strada al russo per la sua terza finale australiana. L'esultanza di Safin è molto contenuta, quasi a voler mostrare rispetto per il campione sconfitto, nell'euforia dei saluti si dimentica anche di stringere la mano al giudice di sedia. Un'altra Safinata.

L'opera non è ancora completa, bisogna vincere la finale contro Hewitt, l'idolo di casa che sogna 29 anni dopo Edmondson di trionfare nello slam australiano.
Safin parte contratto, nervoso, perde 6-1 il primo set in un amen ma una volta scioltosi e preso un break di vantaggio nel secondo la partita gira dalla sua parte e da quel momento ha un unico padrone. Non perde la calma neppure quando sul punteggio di un set pari Hewitt vola 4-2 nel terzo, con 4 giochi di fila recupera il set e nel quarto chiude con il medesimo punteggio, 6-4.

Sono passati quattro anni e mezzo dal primo slam, un'eternità, ma finalmente Marat può tornare a gioire e lo fa proprio in Australia, davanti a un pubblico che lo ha sempre amato e che sperava di vederlo già vincitore in quella sciagurata finale del 2002. Il giudizio di tutti è unanime. E' tornato.
E' l'inizio di una nuova carriera. Adesso Roger Federer avrà finalmente un degno rivale. Nulla di tutto questo, colui che Rino Tommasi definì il più forte giocatore dal collo in giù finisce sostanzialmente qui.

L'annata gli regala solamente una finale sull'odiata erba di Halle persa contro Federer. Il solito ginocchio però fa le bizze di nuovo, è in dubbio per Wimbledon, viene anche in Italia a farsi visitare, a Bologna, ma dopo il torneo di Cincinnati deve dare forfait al torneo di New York a settembre e alla difesa del titolo australiano a gennaio.

Questa volta gli dei del tennis hanno deciso di calcare un po' di più la mano rispetto al primo infortunio, non lo hanno probabilmente mai amato del tutto. E come potrebbe essere altrimenti, con tutto quel talento sprecato si saranno sentiti... Traditi.
Ottiene ancora qualche discreta vittoria ma nulla più. La classifica è spaventosa, ad agosto 2006 fa addirittura registrare la posizione numero 104.
23-20 e 24-24 sono i bilanci delle stagioni 2007 e 2008.

L'ultimo acuto quasi per un simpatico scherzo del destino è proprio a Wimbledon; al secondo turno doma Novak Djokovic in 3 set e arriva fino alla semifinale, raggiungendo il suo miglior risultato in carriera ai Champinships, in quello che ormai sembra essere il suo ultimo anno.
Ion Tiriac, il suo manager, dietro lauto compenso riesce a convincerlo a giocare per un'altra stagione, ma è ormai la passerella finale.

Il bilancio finale è addirittura negativo con 19 vittorie e 22 sconfitte stagionali. Non ha più voglia, ormai la testa è altrove, a dir la verità già da qualche anno, ma è diventato anche solo un peso prendere in mano la racchetta e così arriva l'epilogo a Parigi Bercy.

Il torneo che ha vinto il maggior numero di volte, non un caso. Il pubblico qui lo ama, più che da altre parti, è meno snob del pubblico del Roland Garros, è più coinvolgente, più rumoroso, più...... da Marat Safin insomma.

L'onore di giocare l'ultimo match con lui ce l'ha Juan Martin Del Potro che a fine match si siede anche sulla sua stessa panchina in attesa che entrino sul campo i suoi ormai ex colleghi e avversari di una carriera per rendergli omaggio davanti alla standing ovation del pubblico parigino.
La frase più bella e che più di tutte probabilmente spiega cosa è stato Safin la disse un giornalista australiano, durante gli Open d'Australia del 2002.

Guardare Marat Safin giocare a tennis è come andare sulle montagne russe al buio: è molto più divertente, perché non sai mai cosa sta per accadere.

Oggi é alla Duna, il parlamento russo, eletto per il partito di Putin.

Non può più prendersela con racchette o arbitri, ma intervistato dopo l'elezione ha risposto ancora una volta alla Safin, la politica è un po' come un gioco, anche se io lo intendo come gioco nel senso più sportivo e nobile del termine; solo che al posto di una racchetta ho in mano un iPad. Tra i tanti auguri arrivati, anche una profezia di Pete Sampras che lo vede presidente tra 20 anni, se così non dovesse essere e qualcuno proverà a dirgli che con un'altra testa sarebbe andata diversamente state pur certi che risponderà sempre alla sua maniera... Se mia nonna avesse le palle sarebbe mio nonno.

Andrea Lanzarini

lunedì 20 maggio 2013

ATP ROMA - COSA ABBIAMO VISTO?


Doveva essere la finale più attesa, quella che tutti sognavano di vedere, tanto che i bagarini chiedevano la modica cifra di 500€ per gli ultimi tagliandi disponibili, la riedizione della fantastica finale del 2006, doveva essere tante altre cose ma non è stata nulla di tutto ciò.
Il 30esimo scontro diretto tra Nadal e Federer non è esistito, troppo falloso lo svizzero al cospetto di un Nadal perfetto per tutta la partita con un solo momento di appannamento, quando ha servito per il match sul 61 51 perdendo la battuta a 0 prima di chiudere 63 rendendo meno pesante il passivo del secondo set.
Non è stato un torneo facile per il maiorchino dove ha faticato tantissimo negli ottavi col folle Gulbis che per un set e mezzo ha dominato il match e ai quarti con Ferrer, che dopo essere andato vicino a battere Rafa a Madrid è riuscito a
strappargli nuovamente un set prima di cedere alla distanza.
Visto anche il secondo flop consecutivo di Djokovic, Nadal si candida come primo favorito per il Roland Garros, sesto titolo su otto finali da quando è rientrato dall’infortunio. Niente male.
Dal canto suo Federer pur giocando un ottimo torneo (fare peggio di Madrid era francamente impossibile) conferma che a Parigi non avrà molte chances e che l’obiettivo primario sarà ovviamente riconfermare il titolo di Wimbledon dove li si che partirà lui in pole position.

Nei top della settimana vanno ovviamente inseriti il polacco Janowicz che conferma il suo ottimo potenziale eliminando Giraldo, sempre ostico sulla terra rossa, e poi portando a casa gli scalpi dei francesi Tsonga e Gasquet prima di cedere in maniera più che dignitosa nei quarti a Federer, e il francese Benoit Paire che dopo Monaco e Benneteau ha eliminato a suon di palle corte il povero Del Potro a rischio arresto per vagabondaggio a fine match, prima di cedere anche lui sempre a Federer in semifinale per 76 64 con svariate occasioni di portare a casa il primo set. Se per Janowicz c’è ancora qualcosa da limare dal punto di vista tecnico e la vera          curiosità sarà vederlo sull’erba di Wimbledon, per Paire si può parlare di giocatore ben più completo e che già al Roland Garros, potendo contare sul pubblico di casa, avrà buone possibilità di fare bene dalle quali capiremo dove potrà arrivare questo ragazzo.

Tra i flop non si può non considerare Djokovic che dopo aver dominato fino al 62 52 il suo match di quarti di finale con Berdych ha staccato la spina perdendo il secondo set con un parziale di 5 giochi di fila e crollando nel terzo set soprattutto tatticamente, lasciando sempre l’iniziativa al ceco e giocando in maniera passiva, quasi fosse ormai rassegnato e senza forze per opporsi al gioco del ceco.
Dimitrov dopo il bel torneo di Madrid aveva un po’ illuso tutti, ma il modo in cui ha perso con Gasquet al primo turno è da rimandato, quando batti il numero 1 del mondo ci si aspetta sempre il massimo, adesso è il momento di passare da bel prospetto a giocatore vero e proprio.
Discorso diverso per Berdych e Murray. Per il primo ovviamente vanno i meriti per la vittoria su Djokovic, anche se la complicità del serbo è parecchio evidente, ma altrettanti insul.. ops critiche per come ha affrontato il match con Nadal. Nel prepartita Sky Ivan Ljubicic aveva mostrato cosa doveva fare Berdych per mettere in difficoltà Nadal e il ceco ha puntualmente fatto l’opposto venendo inevitabilmente spazzato via. Mai un lungolinea, mai un attacco sul rovescio dello spagnolo, sempre la palla alta in mezzo al campo dove Rafa può prendere in mano lo scambio col dritto e dominare.
Murray si è ritirato per la seconda volta in carriera e anche questa volta era il giorno del suo compleanno. Un mito. Se ci aggiungiamo che lo ha fatto dopo aver vinto il tie break del secondo set dopo che era stato sotto di 2 break, mito diventa anche riduttivo.
Il motivo ufficiale pare essere un infortunio alla schiena, che mette in dubbio anche la sua presenza a Parigi, ma se davvero fosse così che senso ha dannarsi l’anima per rimontare un match quando sei a 2 games dalla sconfitta?

Noi torniamo dopo il Roland Garros, la speranza è che non sia un discorso Djokovic Nadal e che qualche outsider possa inserirsi nella corsa al titolo, ma la sensazione è che o il sorteggio li metterà dalla stessa parte del tabellone, oppure il 9 giugno a contendersi la coppa dei moschettieri saranno nuovamente loro due.

Andrea Lanzarini



martedì 23 aprile 2013

NOLE, NUOVO RE NEL PRINCIPATO


Si è concluso il torneo di Montecarlo, il primo Master 1000 della stagione sulla terra, con un risultato a sorpresa. Insomma a sorpresa, la finale è quella che tutti si aspettavano e quella che probabilmente ci porteremo avanti fino al Roland Garros, è il vincitore che può considerarsi una sorpresa, se non altro perchè Nadal veniva da 8 (!!!!!) vittorie consecutive nel Principato in quello che ormai era stato ribattezzato “Nadal Open”.
La finale è stata un monologo nel primo set, vinto da Djokovic per 6-2, ma il parziale poteva essere ancor più pesante considerato che il serbo ha avuto cinque set point sul 5-0 con Nadal al servizio. Nel secondo set complice un calo di Nole e un Nadal con i piedi più dentro al campo e più profondo nei colpi si è avuta la sensazione che la partita potesse girare. Lo spagnolo è stato due volte avanti di un break, la seconda addirittura ha coinciso con l’opportunità di servire per il set sul punteggio di 6-5. Sprecate entrambe le occasioni il tie-break si è rivelato un assolo serbo conclusosi col punteggio di 7-1.
Nole non era apparso in versione cannibale durante l’arco della settimana avendo concesso un set sia a Youzhny che a Monaco ma quello visto nel primo set è il candidato principale a dominare la stagione sul Rosso che porta a Parigi, guarda caso l’unico major che ancora manca alla già ricca bacheca del serbo. Dal canto suo Nadal non ha concretizzato le occasioni che lo avrebbero portato al terzo e poi chissà, al momento appare un paio di gradini sotto al serbo, lui dice che ha bisogno di partite per aumentare di condizione, vedremo questa settimana se il torneo di Barcellona ci dirà qualcosa in più.
E’ stata comunque la settimana di Fognini e Dimitrov.
Il primo perché dopo aver eliminato Seppi ha fatto fuori Berdych e Gasquet con estrema autorevolezza. Contro Gasquet addirittura ha messo a segno 37 colpi vincenti, che per un match su terra al meglio dei 3 set restano un dato clamoroso. Si è sciolto in maniera abbastanza deludente contro Djokovic, forse ci aspettavamo di più di noi, forse era scarico lui, forse, forse, troppi forse.
A mio parere il linguaggio del corpo di Fabio fin dalle prime battute lasciava presagire che la partita sarebbe stata molto rapida. Sembrava già contento ad essere arrivato fin li, un po’ come a Wimbledon contro Federer, forse.
Dimitrov ha giocato un match fantastico contro Nadal, che avesse talento lo si sapeva, ma questa volta ha mostrato una grandissima lucidità tattica andando a stuzzicare Nadal col rovescio in back e dandogli parecchi grattacapi, ha perso 6-4 al terzo riuscendo comunque a strappare un set al maiorchino e se si esclude Djokovic in finale bisogna tornare indietro di due edizioni.
Rafa in conferenza stampa ha predetto un ingresso in tempi brevi nei top 10 per il bulgaro, ce lo auguriamo anche noi..
Delusioni della settimana ovviamente Murray e Del Potro.
L’argentino per lo meno ha perso al tie break del terzo set contro un Nieminen in giornata di grazia dopo aver superato un ostico Dolgopolov il turno precedente. Murray invece è stato schiantato in maniera nettissima al terzo turno da un ottimo Wawrinka, ma il punteggio (6-1 6-2) è troppo pesante se sei il numero 2 del mondo e continui a sostenere di avere ambizioni importanti sulla terra battuta.
Io continuo a pensare che se gioca così lontano dalla linea di fondo e così poco propositivo non abbia una singola chance di poter competere con Nole e Nadal sulla terra; ora dopo questa mia previsione vincerà Parigi giocando quattro metri dietro la linea di fondo come i migliori pallettari spagnoli degli anni 80/90.

Andrea Lanzarini